Regione Emilia Romagna
Accedi all'area personale

Castello scotti

Castello Scotti

Cenni storici del Castello scotti

Cenni storici

Le prime notizie risalgono al 1321 quando le milizie ghibelline di Galeazzo Visconti, impegnato ad eliminare i capisaldi della resistenza guelfa disseminati nel piacentino, distrussero tra gli altri anche il Castello di Carpaneto.

Primi anni '400

Ai primi del '400 il fortilizio, già ricostruito nel 1370 da Rolando Scotti, risulta di proprietà dei Del Cairo, poi di Beatrice Anguissola che, nel 1435, lo vendette ad Alberto Scotti il cui casato si era ormai affermato nel delicato gioco politico locale. Nel 1441 il duca Filippo Maria Visconti, in segno di gratitudine per la provata fedeltà vassallatica, riconfermò con titolo di contea il feudo di Carpaneto ad Alberto Scotti. Ottenuta così l'ufficiale investitura proprietaria dei luoghi, questi mosso da ambiziosi progetti espansionistici e da previdenti calcoli difensivi, rinforzò le difese del castello con un solido paramento murario scarpato in laterizio con merlatura guelfa munito di quattro poderose torri angolari circolari e di un largo fossato circostante.

Primi anni del '500

Ai primi del '500 Carpaneto balzò alla ribalta della cronaca nera per le feroci e sanguinarie imprese militari di Pier Maria Scotti, "uomo in fare male, molto accorto", soprannominato il BUSO per la velocità e la destrezza con cui riusciva ad infilzare (bucare) con la spada i suoi nemici. Durante la sua reggenza, si narra, che un arciere nascosto dietro una feritoia, abbia trafitto con un dardo in pieno petto il prete delal vicina Pieve, don Anguissola, il cui cadavere venne poi tumulato sotto l'altare maggiore. Il movente dell'omicidio lo si fa risalire alla mancata nomina di un membro della Casata quale Curione del feudo.

Il BUSO

Il 30 agosto 1521, il BUSO, al servizio di Prospero Colonna, mentre era ufficialmente impegnato con altri capirati della Lega nell'assedio di Castel San Giovanni, nottetempo, si portò segretamente con i suoi armigeri ad Agazzano ove riuscì ad espugnare il Castello del Conte Gaspare Scotti. Il ricco bottino venne diviso tra i suoi sgherri. Il capitano di ventura, Astore Visconti, appresa la notizia, giunse velocemente sul posto ed, inferocito per non essere stato informato della sortita e poi per essere stato escluso dalla spartizione delle spoglie, fece trucidare il BUSO, di soli 40 anni di età, e fece buttare il suo cadavere nel fossato. Il BUSO lasciò un figlio adolescente, di nome Galeazzo, soprannominato il BUSINO, che, accusato dei reati di stupro e di violenza d'ogni genere, fu decapitato a Piacenza il 9 ottobre 1538 a soli 25 anni.

Il Duca Ranuccio I Farnese

Il Duca Ranuccio I Farnese (1569/1622) elevò nel 1606 Carpaneto, assieme a Diolo e Vigoleno, a Marchesato e concesse, dopo aver domato pretese carrieristiche di altri feudatari locali, il feudo a Cesare Maria Scotti la cui discendenza ne conserverà la proprietà, senza particolari problemi, fino al 1908 quando il castello venne acquistato dal Comune. In esso presero ufficialmente stanza, oltre agli uffici comunali, anche la scuola elementare, la Pretura ed alcune attività commerciali. Solo da alcuni decenni l'edificio è adibito esclusivamente ad attività amministrativa del Comune.

Struttura

Di tutto l'antico ed articolato complesso castrenze è sopravvissuto solo il palazzo Scotti di cui, dell'originale, sono rimasti solo i poderosi muri perimetrali a scarpa su due lati a sud-est ed, all'interno un corrispondente loggiato a sud con le colonne di granito sormontate da capitelli di arenaria con lo stemma degli Scotti.

L'edificio subì una nuova sistemazione nel 1934 con il completamento dei porticati interni e dei sovrastanti corridoi sui lati nord-est, a servizio delle classi elementari ospitate al piano superiore fino al 1988 quando entrò in funzione il nuovo Istituto Comprensivo.

Le tempere murali di Osvaldo Bot (Barbieri Osvaldo)

Le tempere murali di Osvaldo Bot (Barbieri Osvaldo) nel salone del Municipio di Carpaneto furono realizzate tra il 25 settembre e il 6 novembre del 1934, come documenta una nota di spese dell'Albergo Cavalletto di Carpaneto, che aveva ospitato Bot e sua moglie. (1)

Le tre tempere dello scalone furono invece commissionate con delibera comunale del 9 aprile 1937. (2)

Fino al ritrovamento di questi documenti si pensava che tutto il complesso delle decorazioni risalisse al 1937, risultando un anno XV (era fascista) sopra una delle tempere dello scalone (ma in occasione della furibonda polemica del 1963 provocata da chi ne pretendeva la scialbatura le data d'esecuzione indicate erano il 1935 e il 1936). L'incertezza veniva dall'essere state presentate, tutte insieme e senza date, nel 1938, nella "Rivista di Piacenza" (3), che già s'era interessata alle decorazioni eseguite nel 1927 da Giuseppe Graziosi nella nuova sede della Banca Popolare Piacentina (ora del Banco di Roma), a quelle realizzate nel 1933-34 dall'Architetto Paolo Costermanelli nell'ingresso del seminario (sculture in marmo di allegorie attinenti la vita religiosa) e alle tempere affidate a Luciano Ricchetti, Umberto Sgavetti e Luigi Galluppi sullo scalone del nuovo Liceo Classico (Arch. Mario Bacciocchi), inaugurate nella primavera del 1938, in occasione della "Fiera di Piacenza", scialbate poi verso il 1955 (le tempere di Ricchetti illustravano Piacenza romana, medievale e primogenita; le altre presentavano i prodotti del piacentino e gli stemmi dei comuni (4).

La decorazione del Liceo Classico era dunque contemporanea o di poco posteriore alle ultime tempere del Bot nel municipio scuola elementare di Carpaneto.

Nell'attuale fervore di studi sul futurismo, che hanno portato nella primavera del 1986 alla memorabile mostra veneziana di Palazzo Grassi, dove la flora futurista di Bot, tradotta in ferro e smalto, ornò il 3 maggio le tavole imbandite del pranzo ufficiale dell'inaugurazione, varrà la pena di indugiare sulle tempere futuriste di Bot realizzate nel '34 (unico esempio di aeropittura nel Piacentino), uscite piuttosto malconce dalla polemica alla quale s'è accennato (5).

A distanza di più di mezzo secolo sarà non solo lecito ma anche opportuno vedere attentamente, sine ira et studio, la situazione culturale che le produsse. L'aeropittura era nata nel 1929, quando, consolidato il Regime, si stavano preparando le imprese aviatorie di Italo Balbo. Quando decollò da Orbetello il 17 dicembre 1930, con dodici idrovolanti, per la trasvolata atlantica (Italia-Brasile) l'entusiasmo coinvolse anche le scuole.

Bot, perfetto tempista, realizzò in quel clima lo splendido ritratto futurista di Balbo, che esposto nella Biennale Veneziana del '32 e divulgato anche da una cartolina, attirò l'attenzione dell'ardimentoso e fortunato "quadriumviro". Quando poi il primo luglio del 1933 Balbo, Ministro dell'Aeropittura, raggiunse con 23 idrovolanti Chicago, entrò subito nel mito (Marconi era il genio, Camera la forza, Balbo l'ardimento); ma Mussolini, infastidito della sua fama, il 7 novembre di quell'anno lo allontanò da Roma: gli affidò il governo della Libia, in sostituzione di Badoglio. La "disgrazia" di Balbo fu la fortuna di Bot, presto suo ospite a Tripoli.

L'ascesa di BOT, iniziata verso il '30, con l'appoggio di Marinetti (che gli aveva aperto molte porte, comprese quelle delle Biennali veneziane del '30 e del '32) toccò il culmine nel '32, nell'anno del Decennale della Rivoluzione Fascista, iniziato a Piacenza con una mostra di aeropittura del Bot, nel salone dell'Istituto Fascista di Cultura (in via San Siro n° 13), il cuculo che s'era infilato di prepotenza nel nido nuovo e caldo preparato da Giuseppe Ricci Oddi per l'Associazione Amici dell'Arte, di lato alla sua prestigiosa Galleria. Inaugurando quella mostra Marinetti aveva presentato il Bot come l'unico, autentico e valido artista piacentino, provocando, era naturale, il risentimento dei colleghi più dotati, in particolare di Ricchetti e Arrigoni (6), che rimproverarono Bot d'avere ripiegato sul futurismo perchè non era in grado di competere con loro nella pittura di tradizione; accusa alla quale irosamente risposte Bot pubblicando, proprio nel '32, un volumetto (Osvaldo Bot nel 1924, 1925, 1926, 1927, 1928) documentato con trenta illustrazioni di dipinti "passatisti" che dovevano dimostrare quanto egli valesse nella pittura di tradizione e volevano essere "la sberla e il cazzotto più vigorosi contro la vigliaccheria della loro accusa di incapacità a fare della pittura nel senso tradizionale, ruffiana e mercantile della parola"; volevano anche dimostrare "che quella che per altri, che si accontentano della mediocrità, è sta stazione sognata di arrivo", era stata per lui, "che sentiva l'arte ribollirgli perpetuamente nel cervello, nel cuore, nelle vene, la stazione di partenza, il trampolino dal quale aveva spiccato il salto verso l'azzurro di di quelle realizzazioni artistiche futuriste alle quali continuava a tendere con tutte le forze del suo sangue sano e dei suoi nervi giovani".

Protetto da Marinetti, BOT volava sulla cresta dell'onda: nel '32 Marinetti scrisse la pefazione dels uo volume "100 quadri futuristi" e nella voce "futurismo" comparsa nel XVI volume dell'Enciclopedia Italiana (Treccani) non dimenticò il nome di BOT: era la consacrazione.

A Piacenza la stampa che contava, il quotidiano "La Scure", era dalla sua parte: il direttore, Corrado Rocchi, come scriveva BOT nell'autobiografia pubblicata in quell'anno (7), lo difendenza "a colpi di scure"; era il suo "amico di ogni giorno".

BOT era furbo: un diavolo. Il suo punto di riferimento, allora, era Depero, che non nominò mai: da "Depero futurista. 1913-1917" insieme all'idea e al ritmo per la propria "autobiografia" derivò spunti ben precisi, a livello di plagio. E la cosa fu denunciata apertis verbis da Fillia a proposito del numero unico "La Santa Macchina" (8): "Osvaldo Bot pubblica a Piacenza un anticipo di rivista intitolata"La Santa Macchina". Sono in maggioranza gli articoli già pubblicati sui giornali futuristi e dovremmo esserne lieti. Ma Bot scrive nella presentazione che non appartiene a gruppi e che non ha etichette. Allora o è un cieco incosciente o è in malafede: non si sfruttano idee, forze e scritti dei futuristi italiani per poi fingere di non conoscerli. In questa pubblicazione (dove viene ripresa o copiata la "protezione della macchina" di Marinetti, Azari e amici) sono ospitate cretinissime poesie metriche dell'epoca napoleonica e disegni che hanno relazione con la macchina come la luna ha influenza sulle oscillazioni dei cambi. Invitiamo Bot a citare almeno le fonti degli articoli, a scanso di gravi responsabilità".

Ma poichè Fillia l'aveva lodato qualche tempo prima nella rivista "l'Impero", Bot ripubblicò quelle lodi con il titolo: "Contraddizioni e torti di un futurista" (9), tentando di girargli contro la saetta. Baruffe in famiglia, l'importante per Bot era che si parlasse di lui. Vincenzo Gorrieri uscì fuori allora con lo slogan: "Il futuro è nelle mani di Dio; il futurismo in quelle di Bot".

Ma almeno per qualche tempo, il futuro di Bot futurista (come del resto per gran parte dei futuristi sopravvissuti alla prima ondata e ancora attivi negli anni trenta, a cominciare da Sua Eccellenza l'Accademico d'Italia Marinetti) fu il presente fascista, promotore di iniziative che rientravano nell'utopia futurista degli anni 1910-1917. E' anche vero che alcuni si sentivano diciannovisti, e di "estrema sinistra", come Paolo Buzzi ("Futurismo", anno II n° 29, Roma 26 marzo 1933); e considerando d'estrema sinistra il fascismo furono i primi a darsi del tu, suggerendo più di un'idea a Starace.

Di fatto il fascismo aveva chiuso nella sua rete anche il futurismo, come indica ben chiaro lo stesso Bot nella cartella "Presente" (del 1935), che inizia con le due F di Futurismo e di Fascismo legate da un nastro tricolore.

Si sentono forse di sinistra, i futuristi, a confronto con i colleghi reazionari del Novecento, cultori dell'immagine, fedeli al racconto di tradizione.

Le due culture ebbero a Piacenza i rappresentantni in Bot e in Ricchetti; due "modi" di fare arte che porteranno, nel '39 alle mostre di Bergamo e di Cremona, sponsorizzate rispettivamente da Bottai e da Farinacci, figli diversi della stessa madre; ma a Bergamo non ci saranno i futuristi, già in crisi sul finire degli anni '30, Bot compreso, che sulla "Scure" del 18 novembre 1938 giustificherà la sua abiura. 

Bot, il pupillo del Partito

Bot era un pupillo del Partito. Quando il 17 aprile 1933 Starace inaugurò nel salone del Gotico la mostra degli artisti piacentini, comperò un quadro di Bot (e di nessun altro) (10). Nel dicembre dello stesso anno Bot partecipò a Milano alla mostra di "aeropittura" allestita nella sede del Circolo Nazario Sauro (in via Clerici, 4). La presentarono Marinetti e Bruno Munari. Dandone notizia, il "Corriere della sera" (11) spiegò con chiarezza che cosa si intendeva per "aeropittura": con essa "i futuristi, scriveva, si studiano di esprimere plasticamente gli stati d'animo, le immagini, le emozioni, i sogni, e anche, in un senso soggettivo od astratto, gli spettacoli naturali offerti dal volo. Ha fatto già le sue prove in molte esposizioni, e né il termine né la cosa sono ormai ignoti. Tutti sanno che, per il futurismo, la macchina è sempre stata una viva sorgente d'ispirazioni: prima come modulo e simbolo della civiltà contemporanea, poi come generatrice d'una visione nuova delle cose e quindi d'una nuova spiritualità. L'aeropittura cerca... di tradurre in forme e colori le sensazioni del volatore e consiste nel rendere soprattutto l'aria, l'atmosfera, l'impalpabile e del dar forma a una sensibilità tutta moderna".

Bot nel '34, dopo aver avuto l'onore di una prefazione di Balbo alle 28 sfumogrfie dell' "Intervista con l'Affrica" (il Regime aveva deciso per due effe) e aver pubblicato "Arte decorativa africana", dedicata al suo mecenate piacentino, il marchese Giovanni Casati, per riepilogare le numerose esperienze sul volto di Mussolini (interpretato in buona sintesi futurista fin dall'anno VI, 1928) e per scusarsi di non aver partecipato, perchè assente dall'Italia, al concorso per un busto del Duce da collocarsi nell'atrio del Tribunale, intitolava "Dux" una cartella di "14 impressioni" realizzate in tempi diversi, finanziata dall'Aeroplan Caproni" di Milano.

Attività frenetica, protezioni e successi che spiegano la commissione delle aeropitture nel castello di Carpaneto, le quali esaltano le iniziative politiche e "umanitarie" del regime, premessa delle xilografie della cartella "Presente" (1935), commissionata dalla Federazione Fascista di Piacenza.

Il salone del Municipio

A chi entra nel "salone" del Municipio (allogato nel castello) appare dapprima nel mezzo del soffitto il Tricolore appeso a un Fascio Littorio che trafigge il globo, allusione alla trasvolata atlantica, suggerita da sei aeroplani in volo accanto alla scritta: "la luce viene da Roma", in prospettiva, accompagnata da una drappella con l' "a noi!".

Seguendo la traccia che gli era stata fornita anche per le xilografie della cartella "Presente", già ricordata, Bot "racconta" la storia del fascismo prendendo l'avvio dalla vittoria sull'Austria, sintetizzata dalla data della vittoria (4 novembre 1918), da un elemetto, da un moschetto e dall'arcobaleno sulla catena delle Alpi: il Fascismo era nato con l'interventismo.

Nella parete di fronte un'altra data, quella della marcia su Roma (28 ottobre 1922) campeggia sull'architrave di un arco di trionfo posto su due fasci littori. Accanto, un mare di vessilli inclinato verso l'arco, intorno ad un giovane fascista che alza una fiaccola sollecitato da un'aquila: gioco d'oblique che allude all'inclinazione dell'Italia verso mete lontane.

Nella parete di mezzo le iniziative del Regime: battaglia antitubercolare, con la doppia croce e la scritta: "Il simbolo che a tutti deve ricordare: un santo dovere"; e l'educazione dei giovani: monumento a Balilla davanti alla casa del Gil (Gioventù italiana del littorio), con la scritta "Credere obbedire combattere".

DUZ

Al di là di una porta, sopra la quale la parola DUX è composta a formare un ventaglio, l'allegoria dell'Italia operosa: fabbriche, un aereo in volo, linee elettriche, un pagliaio, una tavolozza, sotto la luce del fascio littorio.

E' una composizione ben congegnata che si rifà all' "impressione grafica" delle "miniere petrolifere di Velleia" (anno XI, 1933) pubblicata nel numero di marzo-aprile della "Rivista di Piacenza"; spunti dal vero vi sono genialmente collegati nel ritmo dei momenti migliori.

E' riuscita male, invece, l'allegoria dello studio, in controluce sulla parete di fronte. Il pletorico armamentario che allude alle discipline scolastiche (nel "salone" sostavano gli alunni delle elementari durante la ricreazione) squadernato ai lati di un'incudine con martello senza falce fa sorridere in un centro come Carpaneto (ma falce e martello avevano divorziato!).

E' l'unica composizione non illustrata nell'articolo già citato di "Ram", chiuso, come si poteva prevedere, con staraciana retorica: "La forte epoca nostra di rinascita dei più alti ed eroici sentimenti lascerà nelle decorazioni parietali le tracce durature ed evidenti di questo fortunato periodo che s'incide in ogni solco così profondamente, e che va chiamando con fresca voce i migliori tributi sani e sinceri anche dagli artisti e dai poeti".

Note

(1) Fu trovata, tra carte private, dal Geometra Giuseppe Casella che nel '34 era tecnico del Comune di Carpaneto. La signora Elisa Previdi in Devoti, contitolare dell'Albergo Cavalletto insieme al marito Giannetto, in data 14 novembre rilasciò ricevuta per lire 850 comprensiva delle spese di vitto e di alloggio daa 25 settembre al 6 novembre, senza neppure un giorno di "vacanza" (lire 767 più lire 83 per "bicchierata Prefetto" e pagamento di nota dell' "Ispettore Scolastico". Nell'occasione il Podestà aveva acquistato due quadri di Bot per lire 50).

(2) Ringrazio il Signor Pietro Freghieri che mi ha fatto avere la fotocopia del preventivo di Bot e della delibera comunale (tema: l'Impero - le Forze Armate, da svolgersi in tre pannelli, due di m. 5x4, uno di m. 2x1,5, spesa lire 700).

(3) Ram, pittura murale nella sintesi di Osvaldo Bot, in Rivista di Piacenza, anno III n° 4 luglio-agosto 1938, pp 161-163.

(4) Si veda Rivista di Piacenza, anno II n° 1 gennaio-febbraio 1937, pp 39-42 - anno III n° 1 gennaio-febbraio 1938, pp 19-21 e n° 2 marzo-aprile 1938, pp 80-84.

(5) Su Su Piacenza oggi del 18 febbraio 1963 comparve un titolo su quattro colonne: "Soltanto perchè lo dipinse Osvaldo Bot a Carpaneto conservano come arte un brutto angolo di impero fascista", evidenziandone il valore "diseducativo" in ambiente scolastico: "Ci sono le spighe dorate della famosa battaglia del grano, le ciminiere degli opifici impegnati a forgiare gli otto milioni di baionette, gli aeroplanini che partono da Roma e giungono ad Addis Abeba, i contadini ed i buoi littorii dalla mascella quadrata, la mano forte e gagliarda che impugna il moschetto, un color divisa guerra d'Africa dappertutto e voli di maestose vincitrici aquile romane sul Mediterraneo. Pareti e soffitti sono pieni di questa robaccia di mestiere di quell'Osvaldo Bot in camicia nera che, per guadagnarsi allora la pagnotta imperial-fascista (come tanti milioni di italiani del resto) buttò giù sgorbi di circostanza che non hanno niente a che fare con l'arte di quel Bot pittore autentico, valido e ben apprezzato dalla critica ufficiale e dal giudizio popolare. Qua e là si notano le passatine di pittura nuova apportate dagli imbianchini dell'Amministrazione comunale sulle strisce di muro dove certametne campeggiavano le frasi mussoliniane più tipiche". Su Libertà del 12 e 13 ottobre 1968 si rende conto della posizione di "Italia Nostra", e per essa dall'Arch. Pietro Berzolla, favorevole alla conservazione delle tempere, rappresentanti il "trionfo dell'aviazione, l'esaltazione del lavoro dei campi e delle officine, del gesto del "balilla" genovese contro gli Austriaci". Per la conservazione è anche la sezione piacentina degli artisti, che considerano questi lavori "punti focali e riferimenti precisi nell'arte figurativa italiana".

(6) Sappiate, disse Marinetti, che a Piacenza non vi è che un artista: Bot. Il futurismo, guidato da me, da altri miei compagni e dal mio caro amico Bot, sempre ha trionfato e sempre trionferà.

(7) Ecco una lettera di Marinetti a Rocchi, da Parigi, del 5 marzo 1932: "Caro Rocchi, ho ricevuto gli articoli della "Scure" con molto ritardo qui a Parigi, dove ho inaugurato trionfalmente la grande mostra degli aeripittori futuristi italiani. Ciò spiega il mio silenzio. Ricordo con piacere gli applausi entusiastici della folla piacentina nella sede degli "Amici dell'Arte". Ho invece dimenticato le vane ostilità del segretario passista che si comportò come se sognasse balordamente di fermare il vittorioso volo del futurismo. Ti prego di salutare Bot e di dirgli che il pubblico parigino ha molto apprezzato le sue aeropitture. Un'affettuosa stretta di mano dal tuo F.T. Marinetti". Però, seccato da una assiduità che a volte dovette risultare asfissiante, Rocchi il 9 maggio gli scrive: "Caro Bot, resta stabilito che non sei un uomo serio. Non farti vedere, né contare più sull'aiuto della "Scure" sino a quando non ti metterai a lavorare sul serio". Bot fa stampare la diffida in una delle sue cartoline-manifesto-protesta-réclame, a lato del suo ritratto, e la manda in giro: tutti devono sapere che Bot non è una persona seria. La trovata probabilmente riporta il sereno.

(8) in "La Città nuova" di Torino, del 20 marzo 1934. "La santa macchina" era stata pubblicata a Piacenza nel 1933. ritorna 9

(9) In "Noi Roma", luglio 1934.

(10) Ne dà notizia la stampa: "Sua Eccellenza Starace ha acquistato un lavoro di Bot e lo ha vivamente elogiato quando lo ha ricevuto nel saloncino della stazione ferroviaria".

(11) Il 6 dicembre 1933. L'interpretazione più ortodossa l'aveva data F.T. Marinetti con l'articolo: Mostra dell'aeropittura e pittura dei futuristi italiani, saggio introduttivo nel catalogo della XVIII Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia, Venezia 1932 (Bot vi espose il ritratto di Italo Balbo).

Notizie tratte dal sito www.quicarpaneto.it

Restauro degli affreschi

Recentemente gli affreschi sono stati restaurati restituendo alla Sala Bot la sua vetusta bellezza. Lo storico d'arte Ferdinando Arisi ha scritto che quelle di Carpaneto sono le uniche aeropitture murali di Bot ancora esistenti. Le pareti dello scalone vennere invece affrescate nel 1937, su commissione del Podestà Carlo Nazzani, con tre dipinti di cui due (m. 5x4 ciascuno) ricordavano l'Impero mentro il terzo (m. 2x1,50) raffigurava una prosperosa Donna Italica ancora visibile anche se rimaneggiata.

In occasione del 120° anniversario della nascita del pittore è stato realizzato un video illustrante le aeropitture del Bot.

Ultima modifica: giovedì, 06 luglio 2023

Quanto sono chiare le informazioni su questa pagina?

Valuta da 1 a 5 stelle la pagina

Grazie, il tuo parere ci aiuterà a migliorare il servizio !

Quali sono stati gli aspetti che hai preferito? 1/2

Dove hai incontrato le maggiori difficoltà? 1/2

Vuoi aggiungere altri dettagli? 2/2

Inserire massimo 200 caratteri